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Julianne MooreUna sofisticata signora di HollywoodNome: Julie Anne Smith58 anni, 3 Dicembre 1960 (Sagittario), Fayetteville (Arkansas - USA) |
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![]() Ma queste che sono?! Ah, le ragazze e io facciamo un “labbra party”, più tardi. Puoi venire anche tu se vuoi. David ci toglie il grasso dalle chiappe e lo mette nelle labbra. Allora è per questo che si dice “avere una faccia da c**o”!
dal film Laws of Attraction (Matrimonio in appello) (2004)
Julianne Moore è Audrey Woods
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Chioma rossa, sguardo intenso e corpo sinuoso tutto lentiggini. Julianne Moore si presenta così nel mondo magico della settima arte. Una fisicità particolare che è il primo approccio alla grandezza interiore di un'attrice eclettica che ha saputo scavare nell'animo femminile. Si è messa in gioco con corpo e spirito, regalando ottime interpretazioni che l'hanno resa una delle attrici più apprezzate della sua generazione.
Il sipario si apre con il cinema d'autore
Alcune esperienze televisive precedono l'esordio cinematografico del 1990 con I delitti del gatto nero di John Harrison. In poco tempo impone il suo fascino elegante, la sua recitazione nervosa e potente in titoli di grande valore: da America oggi (1993) di Robert Altman a Vanja sulla 42ª strada (1994) di Louis Malle, dal toccante Safe (1995) di Todd Haynes a Il grande Lebowski (1998) di Joel Coen. Intervalla le grandi produzioni d'autore a pellicole minori, ma sempre scelte con grande intuito e sensibilità. La troviamo nella commedia originale Benny & Joon al fianco di un esilarante Johnny Depp, in quella drammatica e poco valorizzata Un adorabile testardo e nel remake Nine Months - Imprevisti d'amore dove interpreta l'adorabile fidanzata incinta di un preoccupatissimo Hugh Grant.
La consacrazione grazie a Paul Thomas Anderson
Dopo la mega produzione Il mondo perduto - Jurassic Park di Steven Spielberg, affronta due memorabili interpretazioni in Boogie Nights - L'altra Hollywood (1997) e Magnolia (1999), entrambi firmati dall'indipendente Paul Thomas Anderson; e quella dell'agente Clarice Sterling nel meno importante Hannibal (2001) di Ridley Scott. Personaggi ben caratterizzati che la consacrano come una delle migliori attrici di Hollywood. Passa facilmente dal comico al drammatico: è nel thriller Psycho di Gus Van Sant che rifà il capolavoro omonimo di Hitchcock, occhieggia ad Oscar Wilde nel divertente intreccio ad equivoci Un marito ideale, vive il dramma della Fine di una storia di Neil Jordan e s'imbatte nelle controversie di una famiglia della provincia americana ne La fortuna di Cookie del maestro Robert Altman.
Icona di femminilità
Nel 2001 è una vedova in The Shipping News - Ombre dal profondo di Lasse Hallström e si trasforma in eroina armata di shampoo antiforfora in Evolution.
Nel 2002 vince la coppa Volpi a Venezia per la sua eccezionale interpretazione in Lontano dal Paradiso, diretto da Haynes, dove indossa i panni di un'elegante casalinga americana degli anni Cinquanta, emarginata dal suo ambiente perché attratta da un giardiniere di colore, in un dichiarato omaggio ai toni e alle atmosfere del mélo di Douglas Sirk. Ma l'anno si rivela fortunato anche per la magistrale performance in The Hours, dov'è Laura, un'altra donna frustrata che non accetta la vita conformista che le offre il marito. Due ruoli, quest'ultimi, che la fanno diventare una vera icona di femminilità, audace controparte di un mondo maschile troppo conformista.
Fantascienza d'autore, commedia e biopic
In una carriera così perfetta non può mancare la distrazione plateale di un film sbagliato: è il caso dell'inguardabile The Forgotten, dove la bravura di Julianne è l'unico punto positivo dell'intera pellicola. Si riscatta subito dopo con la commedia newyorchese Uomini & Donne - Tutti dovrebbero venire...almeno una volta! (terribile il titolo italiano!), un piccolo film indipendente che si regge su una sceneggiatura avvincente. Ottima in I figli degli uomini di Alfonso Cuaròn, prosegue con Il colore del crimine a fianco di Samuel L. Jackson per poi avere un piccolo ruolo delicato nel corale Io non sono qui, omaggio straordinario di Todd Haynes al cantautore Bob Dylan.
Cambia totalmente registro in Next, film fantascientifico tratto da un racconto di Philip K. Dick che segna il ritorno del regista Lee Tamahori, dopo qualche scivolone cinematografico.
Nel 2008 è in Savage Grace, biopic che racconta il rapporto incestuoso tra Barbara Daly, la donna che, dopo aver scoperto l'omosessualità del figlio, tenta di sedurlo. Torna agli action thriller con Blindness (2008) e Shelter - Identità paranormali (2010) in cui interpreta il ruolo di psichiatra, e nel 2009 è diretta da Tom Ford nell'elegante e brillante A Single Man.
Dopo Chloe - Tra seduzione e inganno e The Private Lives of Pippa Lee (entrambi targati 2009), è una donna omosessuale di mezz'età nella commedia I Ragazzi stanno bene (2010), ruolo per il quale viene candidata ai Golden Globe e ai Bafta. Nel 2011 torna nella commedia corale Crazy, stupid, love, accanto a Ryan Gosling e Emma Stone e due anni più tardi partecipa all'esordio alla regia di Joseph Gordon-Levitt, Don Jon. Sarà poi la madre di Carrie/Chloe Moretz nell'horror Lo sguardo di Satana - Carrie di Kimberly Peirce.
A settembre 2013 entra ufficialmente nel cast del terzo capitolo della saga Hunger Games, tratto dal romanzo Il canto della rivolta, nei panni della Presidentessa Alma Coin, mentre nel mese di ottobre dello stesso anno riceve la stella numero 2507 sulla Hollywood Walk of Fame.
Nel 2014, ai Gonden Globe, riceve la nomination come Migliore attrice in un film commedia o musicale, grazie alla sua interpretazione di Havana Segrand in Maps to the Stars, diretto da David Cronenberg. Nel 2015 si aggiudica un Golden Globe come miglior attrice in un film drammatico e anche il Premio Oscar come Miglior attrice protagonista grazie alla sua interpretazione in Still Alice, di Richard Glatzer e Wash Westmoreland. Nello stesso anno è la protagonista di Freeheld: Amore, giustizia, uguaglianza, di Peter Sollett e affianca Greta Gerwig e Ethan Hawke ne Il piano di Maggie - A cosa servono gli uomini di Rebecca Miller.
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Gloria Bell
continua»
Genere Commedia, - USA 2018. Uscita 07/03/2019. |
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Tutti i pronostici che davano per vincitore Birdman di Alejandro González Iñárritu, gran favorito della stagione cinematografica, sono andati a segno. Per il secondo anno consecutivo è un messicano a guadagnare l'Oscar come Miglior regista: Alejandro González Iñárritu che in Birdman aveva sperimentato nuove architetture narrative mantenendo sempre il gusto per le storie intrecciate. Ma non solo. Il messicano si è anche guadagnato il premio più importante dell'Academy: quello di Miglior film. Quanto al suo grande rivale, Grand Budapest Hotel di Wes Anderson si è portato a casa quattro premi dei nove ai quali era candidato: Migliori costumi, Miglior trucco e acconciatura, Miglior scenografia, Miglior colonna sonora.
Più in generale l'edizione numero 87 della notte di gala più attesa dall'industria cinematografica e dagli appassionati di cinema e dello spettacolo non ha regalato grandi sorprese, se non per il premio a Miglior attore protagonista andato a Eddie Redmayne per La teoria del tutto (tutti davano per certa la vittoria di Michael Keaton). Tra le sorprese di questa edizione vista in più di cento paesi e più di 24 fusi orari c'è sicuramente la buona conduzione di Neil Patrick Harris. Il tre volte vincitore del People's Choice Awards divenuto celebre soprattutto per il ruolo del facoltoso donnaiolo Barney Stinson nella sitcom How I Met Your Mother, ha dato prova di tutte le sue qualità come attore, cantante, ballerino, presentatore e prestigiatore, a partire dal numero di apertura, un musical che sembrava una lettera d'amore scritta da Broadway a Hollywood. Uno dei momenti più divertenti della serata lo ha visto protagonista in mutande mentre riproponeva uno dei piani sequenza di Birdman nel quale compariva anche Miles Teller, il batterista di Whiplash.
Nessuna sorpresa nella categoria Miglior attore non protagonista. Per quanto fuori dagli schermi il professore di musica di Simmons possa essere criticato per i suoi metodi poco ortodossi, al cinema ha raccolto solo consensi. Dopo aver vinto i maggiori premi dell'industria, J. K. Simmons ha conquistato anche l'Academy che ha riconosciuto il suo immenso lavoro in Whiplash concedendogli l'Oscar. E pensare che tutto iniziò da un piccolo cortometraggio indipendente - per il quale l'attore non ricevette neanche un centesimo - che il regista Damien Chazelle presentò al Festival di Sundance nel 2012 e che ha finito per guadagnarsi tre premi. Nessuna sorpresa nella cinquina rosa: Patricia Arquette era la favorita per il suo ruolo di mamma in Boyhood ed era anche l'attrice non protagonista più quotata secondo i bookmakers. Non c'era storia neanche nella categoria Miglior Attrice perché si dava per scontato che a vincere fosse Julianne Moore per il ruolo di una professoressa di linguistica malata di una forma precoce di Alzheimer in Still Alice.
L'italiana Milena Canonero si è contraddistinta per essere stata la prima donna della serata a vincere l'Oscar (il quarto della sua carriera) che ha coinciso anche con la prima delle nove candidature messa a punto da Grand Budapest Hotel di Wes Anderson. Anche se i favoriti sembravano essere Bill Corso e Dennis Liddiard per Foxcatcher, per il lavoro svolto sull'attore Steve Carell che sotto il cerone appariva irriconoscibile, il premio per Miglior trucco e acconciatura se lo sono portati a casa Frances Hannon e Mark Coulier per Grand Budapest Hotel. Milena Canonero e Frances Hannon sono state anche tra le poche donne (nove in tutto) a impugnare l'Oscar in un'edizione che già contava poche candidate nelle varie categorie. L'altra critica che è stata mossa all'Academy riguardava la poca presenza di afroamericani nelle varie categorie (per la prima volta dal 1998 non ci sono candidati non bianchi tra gli attori) e dalla scarsa considerazione per Selma che ha ricevuto solo due nomination di cui solo una messa a segno: Migliore canzone originale per Glory.
Nella categoria Miglior film straniero il polacco Pawel Pawlikowski ha rispettato tutte le previsioni impugnando l'Oscar per Ida mettendo in chiaro ancora una volta che la tematica dell'Olocausto è sempre ben vista dall'Academy e tenendo un discorso di ringraziamento troppo lungo secondo i canoni della diretta televisiva da guadagnarsi lo spegnimento delle luci. Sorte che stava per toccare anche ai registi di Big Hero 6, vincitori nella categoria di Miglior film d'animazione. Citizenfour, film su Edward Snowden, ha invece trionfato quale Miglior Documentario (battendo in volata Alla ricerca di Vivian Maier, già disponibile in streaming su MYMOVIESLIVE). Finalmente dopo due ore dall'inizio della cerimonia il film più quotato dell'87 edizione degli Oscar, Birdman, si è guadagnato la prima statuetta, che è finita nelle mani del direttore della fotografia messicano Emmanuel Lubezki (il secondo è arrivato dopo un'altra ora per la Migliore sceneggiatura originale). Prima di giungere ai premi più importanti, il francese Alexandre Desplat, rivale di se stesso nella categoria Miglior colonna sonora (dove concorreva anche con The Imitation Game), ha finito per portarsi a casa l'Oscar al servizio di Wes Anderson in Grand Budapest Hotel.
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